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09/04/2020

Morire per rinascere: la morte iniziatica

La morte è stata da sempre motivo di grande paura, da un lato, ma anche di fascino e mistero dall’altro. La paura nasce dal fatto che in molti vedono la morte come il totale annientamento dell’uomo, come se in quel momento ciascuno di noi smettesse di esistere per sempre. Siamo nati dal nulla e nulla diventiamo. Ma già i popoli antichi avevano invece intuito che la morte fosse molto di più e che non rappresentasse affatto un momento di annientamento, ma semplicemente di trasformazione. La morte è infatti un momento estremamente sacro, come lo è la nascita. Pensiamo agli antichi Egizi e alla pratica della mummificazione, la costruzione delle tombe sontuose e ai tesori che vi introducevano, il tutto solo per garantire al faraone un degno Aldilà.

La natura d’altra parte tenta di spiegarcelo in tutti i modi che nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Prendiamo ad esempio un tulipano. In primavera il tulipano si risveglia e per così dire viene al mondo, poi continua a crescere, arriva al suo massimo splendore che è il momento della fioritura naturalmente; infine comincia il suo declino fino ad appassire. Per noi il tulipano è morto. Nonostante questo però lui in primavera si risveglia nuovamente. E così si perpetua il ciclo della vita, perché di questo si tratta, di cicli che si susseguono.

Il momento della morte quindi, che potremmo chiamare anche morte iniziatica, in quanto dopo di essa nulla sarà come prima, viene seguito in genere da un periodo più o meno lungo di sonno “ristoratore” per poi ripartire nuovamente. È un po’ quello che stiamo vivendo ora nel mondo. In questo momento stiamo “morendo” per poi rinascere. Naturalmente non intendo in senso letterale ma in senso figurato. Il punto è che per rinascere, bisogna prima morire. Il bulbo del tulipano deve dormire durante l’inverno prima di poter ricominciare a svegliarsi e rifiorire. Deve necessariamente lasciar andare la vita precedente, perché quella vita gli ha dato tutto ciò che doveva dargli. Ora deve aprirsi al nuovo, alla vastità delle opportunità.
La nascita e la morte sono i riti di passaggio più traumatici. Ma sono anche quelli che ci portano in dono i maggiori cambiamenti. La morte, che io preferisco in realtà chiamare trapasso, perché di questo si tratta, di un passaggio da un livello ad un altro, colpisce in modo particolare chi ci sta intorno, così come anche la nascita lo fa. L’arrivo di un bambino presuppone un grande cambiamento per i neogenitori e non solo per loro, così come il trapasso presuppone un grande cambiamento sia per chi ci lascia che per chi gli sta attorno.

È importante che ciascuno di noi lasci andare ciò che non gli serve più, perché ora siamo invitati a farlo su scala mondiale. Questo significa che c’è molto da fare per tutti, di lavorare su noi stessi, perché le trasformazioni che faremo non avranno impatto solo su di noi e su chi ci sta accanto, ma sul mondo intero. E non è poco, anzi! Ma finché non lo faremo, finché non lasceremo andare il marcio che c’era nella nostra vita, fin quando non avremo estirpato le erbacce che ci infestano l’orto, vorrà dire che la lezione non è stata appresa e non riusciremo a rinascere. Ma quando il risultato sarà raggiunto, allora potremo finalmente fare un passo nel mondo nuovo, potremo rinascere a nuova vita. Ora abbiamo il tempo di fare l’inventario di noi stessi ma soprattutto di fare pulizia. Esotericamente è interessante che quest’emergenza sia arrivata in inverno, il periodo conclusivo dell’anno, quello in cui la natura muore per poi rinascere. Ormai però siamo in primavera, quindi è inevitabile cominciare a pensare che sia ora di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare pian piano a vivere.E certamente questo riguarda la vita esteriore, riprendere a uscire, a muoversi ecc, ma prima di rinascere nel mondo là fuori, bisogna rinascere nel nostro mondo interiore. È lì che si trova la chiave del cambiamento.

Lasciar andare il vecchio mondo però è sempre molto difficile per tutti, perché ci ostiniamo ad aggrapparci alle abitudini, a cose passate, a relazioni che non hanno più motivo di esistere. Abbiamo paura di restare soli, di essere destabilizzati dai cambiamenti, ma abbiamo anche paura di essere infelici per sempre. Ma per essere felici, se ora non lo siamo, dobbiamo necessariamente fare dei cambiamenti nella direzione della felicità. Ci ostiniamo a cristallizzarci in cose abitudinarie, fisse, sicure. Ma la vita è cambiamento, la vita è avventura! Abbiamo perso la gioia di vivere con gli occhi del bambino che non si preoccupa del futuro, ma solo di come rendere bello il suo presente. Abbiamo bisogno di riappropriarci di quel bambino interiore che risiede in noi, perché il non sapere spaventa, ma anche il sapere cosa ci riserva il futuro può farlo. Sapere che non abbiamo accanto la persona che vorremmo, o che non facciamo il lavoro che vorremmo, anche questo dovrebbe spaventarci. Anche la certezza di essere infelici dovrebbe spaventarci. Eppure sembra spaventarci più l’incertezza di ciò che sarà. Ma l’incertezza in realtà porta in sé il tutto, tutte le possibilità e tanta potenziale gioia. La certezza porta in sé invece solo una strada che sappiamo dove va, ma non mettiamo mai in conto che per quanto vogliamo aggrapparci a quella sicurezza, la vita si riserva sempre il compito di cambiare i nostri piani, se non sono in accordo con noi. Perché alla fin fine anche nella certezza in realtà c’è insicurezza. Perché non abbiamo firmato nessun contratto che ci assicuri che lavoreremo fino a quel giorno, che vivremo fino a quel giorno…un giorno potremmo perdere il lavoro, potremmo perdere la persona cara con cui pensavamo di passare la vita. Forse allora è meglio vivere con quell’emozione dell’ignoto che un po’ spaventa, certo, ma che ci emoziona e ci mantiene vivi: l’emozione di poter vivere in un mondo di possibilità tutte per noi.

28/03/2020

Il proprio sogno è un dono che possiamo fare agli altri

Vi ho già parlato dell’importanza di vivere i propri sogni e oggi voglio parlarvi del mio. Ho già raccontato molte volte (potete leggerlo anche in qualche intervista sul mio sito www.anjazobin.com) che il mio amore per la scrittura è nato quando avevo all’incirca otto anni e ho visto in tv un episodio de La signora in giallo. Quella trama fatta di omicidi, mistero, presunte colpevolezze e sorpresa finale mi era piaciuta talmente tanto, che lo stesso giorno avevo deciso di scrivere anch’io un giallo. Scrissi metà pagina di un block notes A5 e mi resi conto che non doveva essere per niente facile scriverne uno: bisognava creare un quadro, tagliarlo a pezzetti come un puzzle, mischiare tutte le tessere e poi metterle in un ordine preciso affinché tutto avesse senso e portasse il lettore a ricreare il quadro d’inizio. Non è per niente facile farlo da adulti, figuriamoci a otto anni. E così me ne dimenticai per molto tempo. Ogni tanto scrivevo qualche storiella misteriosa, ma era un passatempo a cui non davo troppa importanza.

Quando cominciai a frequentare l’università, il primo anno a Giurisprudenza, mi ritrovai alquanto confusa sul da farsi. Da un lato non mi dispiaceva la facoltà, ma al tempo stesso non era qualcosa che mi riempiva di gioia; sentivo infatti l’attrazione verso una materia che aveva sempre suscitato in me grandi emozioni: l’archeologia. L’archeologia rappresentava quel mix di cose che io adoravo: storia e mistero. La terra infatti, come il mare, è per me custode di immense ricchezze. Così l’anno successivo mi iscrissi ad archeologia a Trieste. Ne sarò sempre felice, perché oltre alle materie da me amate, lì ho incontrato delle persone speciali e importanti per il mio cammino.

C’erano però anche altri argomenti che mi affascinavano: esoterismo, medianità, magia…e ancora la scrittura. L’anno prima, mentre frequentavo giurisprudenza e non mi sentivo nel posto giusto, durante le lezioni mi ritrovavo spesso a scrivere. Lo facevo per me. Creavo storie perché mi piaceva farlo, perché mi venivano naturali, perché in quei racconti potevo rivivere la storia e il mistero che tanto mi affascinavano. Evidentemente avevo un dono che stava cercando di fare breccia nella mia vita, una vita che però io tentavo di vivere nel modo classico: scuola, università, laurea, lavoro. Ma la vita aveva altri piani per me, perché sempre più si insinuava in me il desiderio di scrivere, di raccontare qualcosa.

All’inizio però non capivo, stavo semplicemente seguendo un hobby forse, oppure mi annoiavo e preferivo fuggire in un mondo di fantasia; gli scritti infatti erano solo miei, non li facevo leggere a nessun altro, erano storie che in qualche modo raccontavo a me stessa per passare il tempo, per evadere. Forse avevo un dono, qualcosa che sarebbe stato bello trasmettere agli altri, ma ero timida e l’idea che le persone leggessero cose da me scritte, mi imbarazzava. Con il tempo poi mi venne l’idea di lanciarmi nell’impresa più difficile: scrivere un romanzo…per me. Insomma le mie passioni continuavano a parlarmi: nonostante l’archeologia mi piacesse infatti, c’era questa musica di sottofondo che continuava a parlarmi di scrittura. Ma evidentemente io non ero pronta ad ascoltarla, nemmeno nel momento in cui mi era arrivata l’dea del romanzo. Niente, imperterrita continuavo a scrivere solo per me.

Ma poi arrivò un giorno. Un giorno che non dimenticherò mai, perché sono stati pochi attimi ma nei quali avrei capito il vero messaggio di questa passione. Nei giorni precedenti avevo comprato un romanzo che dalla quarta di copertina sembrava molto intrigante, ma una volta cominciato a leggerlo, veniva presentato subito l’assassino. Io non metto in dubbio che la storia potesse essere bella e intrigante lo stesso, ma a me toglieva quella suspance, quel mistero e quel gioco soprattutto che è indagare per scoprire il colpevole. Così un giorno mentre facevo la spesa, mi tornò in mente quel libro e pensai “io lo avrei fatto così così e così, sarebbe stato molto più intrigante” e lì qualcosa mi colpì nel profondo: e se anche qualcun altro fosse rimasto deluso da quella storia come me? Avrebbe forse preferito il mio sviluppo della narrazione? Quello è stato il momento in cui dentro di me, nel mio profondo, ho capito che avrei dovuto condividere con gli altri ciò che mi veniva così spontaneo…il mio dono. Avrei potuto continuare a scrivere solo per me, ma che senso avrebbe avuto? Mi immaginavo questi romanzi scritti e chiusi in un cassetto a prender polvere. Aveva senso? No. Stavo imparando a capire che quella vocina insistente che viveva dentro di me e che mi spingeva a scrivere per passione, era tutt’altro che una sciocchezza. Era la mia Anima che mi parlava e lo stava facendo da tempo. Io però non l’avevo compresa fino a quel momento, in cui ero diventata pronta per comprenderla davvero.

Avevo un dono, era giusto tenerlo per me? Spesso ho sentito artisti come ad esempio pittori affermare che una volta conclusa l’opera, un quadro ad esempio, quel quadro non appartiene più all’artista ma alle persone. Sono d’accordo: se è vero che da un lato scrivo per me, che lo faccio perché amo farlo, perché amo creare storie, perché mi sento viva mentre scrivo, dall’altro tutto ciò non avrebbe alcun senso se poi non lo condividessi con gli altri. Sarebbe come cucinare una torta perché mi piace farlo, ma poi lasciarla lì senza che nessuno la mangiasse. Che senso avrebbe? Per questo motivo è importante che ognuno di noi accetti il proprio dono, che cominci a credere in esso, qualunque esso sia, perché tutti ne abbiamo almeno uno; ed è altrettanto giusto poi condividerlo con gli altri.

Nella mia esperienza posso dire che se è vero che amo scrivere, che è qualcosa che mi riempie il cuore, è ancora più vero che coloro che hanno davvero riempito il mio cuore siete stati tutti voi che dopo aver letto i miei libri, mi avete raccontato cosa vi hanno donato. Ed è stata una vera sorpresa per me scoprire che ne avete ricevuto molto più di quello che pensavo di aver dato. Ed è stato questo il dono che voi avete fatto a me. Quindi alla fine quando metti a disposizione degli altri il tuo dono, non sei consapevole di quanto è grande quello che dai e soprattutto non hai idea di quanto sarà grande ciò che riceverai in cambio.

Si chiama dono perché ci viene donato, ma allo stesso tempo è un dono che anche noi possiamo fare agli altri. Allora crediamoci e facciamolo, perché la vera ricchezza non è il denaro che possiamo donare agli altri, la vera ricchezza siamo noi stessi.


18/03/2020

Animali: gli angeli senza ali

Io e Lyzbeth💕
Nei periodi difficili è importante concentrarsi su cose positive, ecco perché oggi voglio parlarvi di una cosa che a me riempie sempre il cuore: gli animali.
Nell’Antico Egitto gli animali erano venerati e le divinità assumevano le loro sembianze. Esistono addirittura delle necropoli dedicate solamente ai gatti, tra le quali la più famosa è Bubastis. Poi ci sono gli sciamani di tutto il mondo che conoscono bene la forza di quelli che chiamano Animali di Potere o Animali Totem e che hanno la funzione di darci forza, vitalità, protezione, salute e aiuto in momenti di difficoltà.
Sono sempre stata una grande amante della natura e degli animali. Fin da piccola amavo passare le mie giornate fuori in giardino, al sole o al mare d’estate. Mi reputo molto fortunata per questo, perché ho avuto la possibilità di crescere in un ambiente che rispecchiava il mio Essere: la natura e gli animali appunto.
Sono sempre stata molto sensibile verso gli animali. Ancora adesso, appena vedo un animaletto in difficoltà cerco di salvarlo e ogni volta che ho la fortuna di vedere un animale selvatico nel suo ambiente naturale, mi emoziono. Ed è proprio in virtù di questa mia grande sensibilità che ho sempre attratto animali in difficoltà. Ho cinque gatti e due cani di razza cane lupo cecoslovacco. Soprattutto per quanto riguarda i gatti, non ho mai dovuto cercarli, sono sempre stati loro a trovare me. Due di questi da piccolissimi avevano una zampetta più di là che di qua, ma sono convinta che sia proprio questo il motivo per cui sono arrivati a me (e alla mia famiglia)…perché sapevano che avrei fatto di tutto per salvarli e così è stato. L’amore che ora ci lega è per questo ancora più forte. Ma oltre a questo, vivendo in periferia, ci capita spesso di dover salvare caprioli feriti, uccellini grandi e piccini, tassi e chi più ne ha e più ne metta.
Nel titolo ho scritto che gli animali sono i nostri angeli senza ali. Lo dico perché chi come me li ama, sa che sono delle creature preziose. Non posso immaginare la mia vita senza di loro! Due anni fa stavo passando un bruttissimo momento e mi ritrovavo spesso a piangere. Cominciavo a singhiozzare davanti ai miei cani e loro già al primo singhiozzo rizzavano le orecchie, mi guardavano preoccupati e correvano da me. Poi cominciavano ad agitarsi, ma con allegria, e iniziavano a leccarmi, a saltarmi addosso e non si fermavano fino a quando non smettevo di piangere e mi mettevo a ridere. Era impossibile piangere davanti a loro, perché in pochi secondi loro tramutavano quel pianto in allegria e felicità. I loro occhi erano pieni di gioia ed era talmente contagiosa che era impossibile non farsi trascinare dal loro amore nei miei confronti. Era come se dicessero “non piangere dai, va tutto bene, passerà tutto, ridi e godi della vita, noi siamo qui con te”. E così è… loro sono sempre stati e sempre saranno per me degli angeli che mi sono accanto ogni giorno sia nei momenti difficili che in quelli belli. Non so come avrei superato tutte le difficoltà senza averli accanto: credo che con il loro aiuto sia tutto più facile.
È anche vero però che ogni volta che ho perso un membro della mia famiglia a quattro zampe, il dolore da me provato è stato straziante. Credo che il dolore che si prova alla perdita sia talmente grande perché è direttamente proporzionale all’amore che abbiamo provato e che sempre proveremo per loro, ma anche all’amore che loro ci hanno donato.
Credo che gli animali ci stiano accanto per un motivo ben preciso: in tutte le relazioni ciascuna delle due parti porta sempre qualcosa alla relazione e sempre ne riceve qualcosa, ma penso che nel caso degli animali, ciò che loro danno a noi sia qualcosa di inestimabile. Loro infatti ci insegnano ad amare incondizionatamente. E l’amore incondizionato non è per niente facile da provare tra le persone. Ma loro sono qui per aiutarci a comprenderlo, a provarlo, perché loro ci amano a prescindere da tutto. Loro infatti ci amano anche se non siamo perfetti, cosa che noi umani non riusciamo a fare con noi stessi. Noi tendiamo ad amarci e ad amare gli altri in base ai meriti: se siamo stati produttivi o se gli altri si comportano in un certo modo o ci dicono certe cose, ci diamo il permesso di amare. Ma credo che pochi siano capaci di provare il vero amore, più spesso si autoconvincono di provarlo; ma convincersi di provare è molto diverso dal provare davvero.
Eppure i nostri amici animali ci insegnano proprio questo, ci insegnano ad amarli anche se abbiamo appena piantato dei fiori e loro li hanno tolti neanche due minuti dopo; o se non ci assecondano come se fossero dei soldatini, o se ci distruggono il divano o altro (alcuni di voi adesso penseranno ma che razza di animali hai se ti fanno questi danni? Diciamo che chi ha un cane lupo cecoslovacco può sicuramente capirmi 😅). Loro ci insegnano ad amare davvero, ad aprire i nostri cuori in maniera totale e disinteressata e senza dare peso al merito. Ci dicono in modo sottile quindi che amare, anche quando gli altri o noi stessi non siamo perfetti, si può e questo amore ci permette di vivere con gioia. Anche adesso che siamo confinati a casa, mi sento più che fortunata ad avere una compagnia così e non so cosa farei se non ce l’avessi.
Per questo non riuscirò mai a comprendere le persone che maltrattano o abbandonano gli animali. Anche ora purtroppo si sente di tanti animali abbandonati a causa delle bufale in merito al coronavirus. È sconvolgente e lo è soprattutto perché è nei momenti difficili che l’amore dei nostri amici animali può fare davvero la differenza per noi, per il nostro umore, per la nostra vita. Loro non ci abbandonerebbero mai, eppure tanti riescono a voltar loro le spalle con sconvolgente disinvoltura.
Io mi affeziono subito agli animali, non riuscirei a darli via nemmeno dopo pochi giorni, figuriamoci abbandonarli per strada dopo mesi, un anno, due anni o più. Sarebbe per me un dolore straziante con cui non riuscirei a convivere. Allora com’è possibile che persone simili esistano e riescano a fare delle cose del genere? La risposta che mi do è che quelle persone devono compiere ancora un lunghissimo cammino, perché se non riescono ad amare nemmeno un po’ una creatura che li ama incondizionatamente, allora vuol dire che non sanno proprio cosa sia l’amore. Possono anche convincersi di provarlo per altri o per se stessi, ma credo che in realtà quelle persone odino se stesse più di quanto immaginano. Allora auguro loro di trovare il modo di aprire almeno un po’ i loro cuori e di far entrare un po’ di amore. Perché quell’amore li farà sbocciare, donerà loro dei nuovi colori. Ora sono ancora come un frutto acerbo, ma se si apriranno all’amore che gli animali possono dare loro, cominceranno a maturare e a riflettere questo amore sugli altri.
Tutti noi passiamo dei brutti momenti, anche adesso non è un momento facile, ma mi basta guardare i miei “bimbi” per un attimo e già sento il mio cuore che si spalanca. Allora auguro anche a voi di spalancare il vostro e di farlo sempre, perché potranno arrivare solo sensazioni stupende. L’amore vi pervaderà e se volete davvero innalzare le vostre difese immunitarie, allora niente più dell’amore lo fa. Non entro nel merito della scienza, ma l’amore si propaga nelle nostre cellule risanando le anomalie ed è quindi la medicina più potente. Amate quindi sempre e l’amore vi proteggerà e vi guarirà.

07/03/2020

La fiducia in noi stessi e nei nostri sogni

Ci sono tante cose di cui abbiamo bisogno per riuscire nei nostri intenti…l’intenzione di realizzare qualcosa, la costanza nel lavoro, ma forse la più importante e, probabilmente la più difficile, è la fiducia in noi stessi.
Sperare di riuscire nelle cose e sognare ad occhi aperti non basta, come non basta solo fare fare e fare: ciò che ci occorre è la fiducia cieca di riuscirci. Perché senza la fiducia in noi stessi, noi non abbiamo la base dalla quale partire per realizzare ciò che il nostro cuore sogna. Perché? Perché significa che siamo i primi che non crediamo in ciò che stiamo facendo e se non ci crediamo noi, chi altro dovrebbe farlo e perché?
Avrete notato persone che non hanno grandi doti, ad esempio cantanti senza particolari doti vocali che però credono così tanto in loro stessi, che riescono nella vita. Ciò che spesso ci manca è proprio questa fiducia. E ci manca perché non siamo mai stati abituati ad averla. Fin da piccoli cresciamo in un mondo che cerca di minare questa sicurezza in noi, ci porta ad appoggiarci agli altri, alla società e a non pretendere troppo dalla vita. Per non parlare di alcune religioni che ahimè ci chiedono sempre di cercare fuori di noi la divinità e non dentro, facendoci perdere così la giusta direzione. Insomma cresciamo sempre volti all’esterno, a pensare che non siamo mai abbastanza e che dovremmo e dovremo sempre appoggiarci agli altri nella vita per sopravvivere, un po’ come da bambini facevamo con i nostri genitori.
Ma questo mina quella parte sacra di noi che ci fa sentire davvero noi, che ci fa sentire degni di avere una vita come la sogniamo e meritiamo. Perché spesso, troppo spesso, non sentiamo e non pensiamo di meritarla. C’è chi subisce abusi perché non pensa di meritare di più e non c’è niente di più sbagliato. Nessuno merita il male a cui spesso ci sottoponiamo in realtà da soli, perché crediamo nel profondo di noi di non meritare niente di meglio. Ci accontentiamo spesso di ciò che ci arriva non perché siamo soddisfatti, ma perché non crediamo di meritare di più. Ma perché non dovremmo? Cosa abbiamo fatto di male per costringerci a non essere felici? Un qualche peccato di cui tutta l’umanità si è macchiata? Non esiste! Noi meritiamo il bene e meritare è in realtà il termine sbagliato, perché di solito quando uno si merita qualcosa è perché ha fatto qualcosa di buono. Qui tuttavia non si parla di meritarsi o meno, si parla semplicemente di esistere e di permettersi di ricevere tutto il bene che ci può arrivare. Se lo scopo della vita dell’uomo fosse solo quella di venire al mondo e soffrire, la vita non avrebbe davvero alcun senso. Ma la sfida sta proprio in questo, nel capire che meritiamo di più e nel permetterci ad accoglierlo, trasformando queste nostre paure e resistenze in amore per noi stessi. E naturalmente in fiducia nelle nostre capacità.
Fin da piccola ho avuto svariati sogni nel cassetto ed è col tempo che ho capito che questi non erano solo fantasie, perché se avevo un determinato sogno era perché avevo anche quelle specifiche qualità per realizzarlo. E ho visto come queste qualità e talenti crescessero e crescano giorno per giorno, ma solo se li nutro con la fiducia. Quando mi fido di ciò che sento, di ciò che vedo, di ciò che faccio, la vita mi risponde accrescendo quelle doti e quei talenti e dandomi delle risposte positive.
Credere in se stessi, avere fiducia in noi stessi, nei nostri sogni e nelle nostre capacità è come nutrire una pianta…se la nutriamo crescerà e diventerà sempre più grande e rigogliosa, ma se non le diamo l’acqua, non sopravvivrà.
Non possiamo pensare di cominciare improvvisamente a credere e avere fiducia nelle nostre capacità se in realtà non ce le abbiamo. Il metodo migliore è farlo a piccoli passi. Spesso se dobbiamo andare da una sponda all’altra del fiume, preferiamo fare il salto e ritrovarci subito dall’altra parte. Ma sono i passi tra qui e lì che sono necessari per costruire un rapporto: un rapporto non con gli altri ma con noi stessi. Facendo questo è come se stessimo costruendo un ponte che mano a mano raggiunge l’altra sponda ed è fondamentale, perché ci dà la solidità sotto i piedi, la base su cui camminare. Saltando invece avremmo la paura di cadere nel vuoto.
Abbiate fiducia in voi stessi e nei vostri sogni perché se avete un sogno, significa che avete anche le doti per realizzarlo. Cominciate con piccoli passetti e vi accorgerete che la fiducia nelle vostre capacità crescerà e con lei anche la vostra vita cambierà.

27/02/2020

La crisi: momento di preziosa trasformazione

La crisi di solito è vista in accezione negativa. A tutti è capitato di ritrovarsi in un momento di crisi più o meno profondo. Ti senti bloccato dentro, magari vorresti fare un passo in qualche direzione ma non sai dove, ti senti come immobilizzato. Oppure ti trovi in difficoltà o ancora può essere l’incertezza che non ti fa avanzare. E più ci pensi e più questo ti crea fastidio; e più gli altri ti chiedono cos’hai, più diventi insofferente alle loro domande e spesso esplodi in moti di rabbia nei loro confronti. Ma in realtà ce l’hai con te, perché sai di essere bloccato e ti sembra che loro, con le loro domande, continuino solo a sottolinearlo.
Oppure stai vivendo una crisi esterna a te: per esempio la malattia di un tuo parente o la sua morte (la morte rappresenta sempre una grande crisi trasformativa non solo per chi se ne va ma anche per chi resta). Oppure hai perso il lavoro e ora non sai che pesci pigliare, o la relazione che durava da tempo improvvisamente finisce. Insomma è un po’ come se la terra si sgretolasse sotto i tuoi piedi e tu ti ritrovi immobile, depresso, triste, sfiduciato, arrabbiato. La carta dei tarocchi, il sedicesimo arcano maggiore, la Torre, lo rappresenta perfettamente.
Ogni volta che in passato vivevo una situazione del genere, che fosse interiore o esterna a me, mi arrabbiavo, mi sentivo frustrata, perché avrei voluto fare qualcosa, avrei voluto muovermi in qualche direzione ma non ci riuscivo, era come se i miei piedi fossero risucchiati dal fango.
Poi finalmente ho capito: la crisi, anche se difficile da gestire nel momento in cui la viviamo, è in realtà una preziosa purificatrice della nostra vita, sia a livello emotivo che a livello di vita materiale! La crisi infatti arriva con uno scopo ben preciso, ovvero quando il cambiamento deve avere luogo.
Se noi non ci impegniamo continuamente a lavorare su noi stessi, a cambiare ciò che sentiamo non essere in accordo con noi, ecco che arriva la crisi e arriva direttamente proporzionale al cambiamento che dobbiamo fare. Mentre se la costante della nostra vita è il cambiamento, è essere continuamente nel flusso, allora probabilmente le crisi saranno lievi e veloci e potremmo anche non notarle. Ma se non ci dedichiamo al nostro cambiamento interiore e non cerchiamo di adeguare il fuori al nostro reale dentro, ecco allora che le crisi che avremo saranno molto più toste da digerire.
Ma come in un circolo vizioso, più saranno toste più le combatteremo, perché è nella nostra natura: noi non accettiamo, abbiamo l’abitudine di stare sempre sulla difensiva e se veniamo attaccati, allora attacchiamo a nostra volta. Eppure è proprio qui che sbagliamo. Quando combattiamo le circostanze avverse, ahimè sprechiamo molte forze e infine soccombiamo sotto di esse. Per questo il mio consiglio è quello di accettare la crisi. Accettare non significa arrendersi, non è una sconfitta e non significa non dare importanza a ciò che stiamo vivendo oppure dire non mi importa cosa succede, significa solo riconoscere che questa cosa esiste e che in questo momento ci sentiamo tristi, soli, depressi, frustarti, arrabbiati ecc. Grazie all’accettazione di questo stato d’animo e di ciò che ci sta succedendo, la crisi comincerà ad affievolirsi, perché starà portando esattamente quei cambiamenti di cui abbiamo bisogno. Lei non viene mai solo per farci del male o un dispetto, la crisi arriva quando il vecchio sistema di credenze, di vita ecc, non va più bene per noi.
C’è qualcosa dentro di noi che si è cristallizzato, perché stiamo resistendo a dei cambiamenti e questo non ci permette di evolvere. È compito della crisi sgretolare questi muri che abbiamo costruito dentro inconsciamente ma spesso anche consciamente. Quante volte infatti sappiamo di dover cambiare qualcosa come ad esempio un comportamento nocivo, eppure rimandiamo ancora e ancora. Ma quando non possiamo più rimandare e noi non ci decidiamo a compiere la trasformazione, ecco che diventa compito della crisi spazzare via il vecchio. Eliminare il vecchio è fondamentale per far posto al nuovo. Siamo abituati ad accumulare sia a livello emotivo che fisico e materiale, ma per essere in costante equilibrio con noi stessi e con il mondo, dovremmo in realtà imparare a lasciar andare ciò che ha fatto la sua storia, che non ci serve più, per poter fare spazio al nuovo. Dovremmo essere come un fiume che scorre, perché quando ristagna, crea una pozza in cui l’acqua diventa sporca e solo un cambiamento può far tornare a scorrere quell’acqua e ripulirla del tutto.
Quindi quando vi sentite bloccati, tristi, amareggiati, in difficoltà o avete o state vivendo una situazione difficile di tipo lavorativo, sentimentale, personale, non combattetelo. Accettatelo, sapendo che ciò che state vivendo è per il vostro bene anche se non riuscite a comprenderlo appieno; che è una sorta di pulizia senza la quale non potreste proseguire nel vostro percorso evolutivo ed arrivare sempre più vicino ai vostri sogni.
La crisi è semplicemente questo: un terremoto interiore che rimette in equilibrio voi e il vostro percorso, facendovi riprendere la vostra evoluzione.

16/02/2020

L’eterna competizione – il bisogno di primeggiare sugli altri

Potete immaginare come sarebbe alzarsi ogni mattina e mettersi a correre e correre per tutto il giorno, senza mai fermarsi? Ma non siete soli, accanto a voi stanno correndo anche i vostri amici, parenti, conoscenti ma anche sconosciuti, e voi li tenete continuamente d’occhio tutti. Siete tutti lì che correte come matti e ciascuno di voi vuole arrivare per primo; a volte gli altri vi superano, altre volte siete voi a superare loro. Poi finalmente arriva il momento del riposo, vi mettete a dormire per qualche ora e l’indomani mattina ricomincia tutto d’accapo come in un circolo vizioso.
Riuscite a immaginare quanta fatica sarebbe vivere ogni giorno così? Ogni giorno a correre e tentare di primeggiare sugli altri? Beh in realtà non c’è bisogno di immaginarlo, perché è esattamente così che viviamo.
Fin da piccoli ci inculcano l’idea che bisogna essere non solo bravi a scuola, meglio ancora essere i più bravi. Quanto hai preso al compito di italiano? Otto. E quanto hanno preso i tuoi compagni? Nove. E perché non hai preso anche tu nove? La prossima volta dovrai farlo.
Poi succede la stessa cosa nello sport: se giochi in una squadra è comunque bene che tu sia il migliore tra i tuoi compagni; se è uno sport individuale, allora devi per forza battere gli altri. Chi l’ha detto che basta partecipare? No, bisogna vincere, se non vinci sei un perdente, sei uno sfigato o giù di lì.
E così cresciamo con l’idea che dobbiamo sempre primeggiare sugli altri, magari in modo onesto o magari dando una spintarella alla fortuna, l’importante è il risultato. E quanto è difficile poi una volta adulti liberarsi di questo programma interiore! C’è chi di carattere fa di tutto per riuscire e c’è chi invece cresce con la paura di fallire, di non essere all’altezza di ciò che le persone che ama si aspettano da lui, e così fallisce volta dopo volta.
L’esempio della corsa è solo una metafora per spiegare che viviamo continuamente in lotta con tutti. Se dobbiamo sempre vincere, allora vuol dire che siamo sempre in competizione, stiamo sempre gareggiando. Ma quanto è stancante tutto questo? Non ne sentite la pesantezza anche solo nel leggerlo? Non sentite quanta energia venga sprecata da questa continua lotta con il mondo? Non vi sentite mai senza energia a fine giornata? I motivi possono essere tanti certo, ma la competizione continua a cui ci sottoponiamo, è sicuramente uno di questi.
Qualcuno potrà dire che è proprio nel competere con gli altri che ci sproniamo a fare di più, ma per quanto se ne dica, raramente la competizione è sana e sportiva. Il pensiero inconscio di fondo è che se uno vince, l’altro perde, soccombe; è un duello all’ultimo sangue. Uno vivrà, l’altro morirà.
Ma non deve essere per forza così. Noi non dovremmo competere con gli altri per trovare la forza di fare di più e per migliorarci. Quella è una cosa che dovrebbe nascere dentro di noi e non dalla smania di gonfiare il nostro ego per dire che siamo meglio degli altri. Gli unici con cui dovremmo, per così dire, essere in competizione, siamo noi stessi. Lo so che il mondo è strutturato su vincitori e vinti, ma quando i velocisti corrono, ciascuno nella propria corsia, mettersi a guardare quello che fanno gli altri accanto, in realtà li distrae. Ciò che devono fare per vincere davvero, è essere focalizzati solo su loro stessi e dare il meglio che possono. Il più grande nemico di noi stessi siamo noi, e se ci mettiamo in competizione con noi stessi, allora faremo davvero il meglio che possiamo. Fare meglio degli altri non significa necessariamente farlo al meglio delle nostre potenzialità, perché se uno è debole e riesce ad alzare solo 5 kg di peso e io alzo 5,1 kg, questo significa che ho fatto meglio di lui; ma se la mia forza mi permettesse di alzare 60 kg, allora sarei ben lontana dall’aver dato il mio meglio.
L’idea di competizione parte ovviamente da una mentalità di mancanza, di scarsità. Siamo convinti che non ci sia posto per tutti. Vogliamo sempre ciò che hanno gli altri, perché siamo convinti che se ce l’hanno loro, allora non lo avremo noi. Vivendo così è inevitabile pensare che se non uccidi vieni ucciso. Se ad esempio il tuo sogno è fare l’attore, ti diranno che non puoi farcela perché ci sono già migliaia di attori al mondo e quindi non c’è spazio per te. Ma se proverai a inseguire i tuoi sogni, potresti anche diventare un attore tanto bravo da vincere un oscar. Dipende però da come tu vedi la realtà…come scarsità o come abbondanza? C’è posto per tutti o solo per pochi? Finché vedremo scarsità, le opportunità non ci si presenteranno, ma se vedremo abbondanza, che c’è posto per tutti, allora smetteremo di essere in competizione, perché noi non siamo uguali ai nostri colleghi. Questo mi riporta al concetto di unicità di cui parlavo nello scorso articolo (leggi articolo). Se ciascuno di noi porterà la sua unicità, ci sarà posto per tutti e allora smetteremo di competere e quando smetteremo di competere, finalmente tireremo un sospiro di sollievo. Per la prima volta in vita nostra ci riapproprieremo della nostra energia e capiremo che non è mai stato così bello vivere; e invece di correre, cominceremo a camminare e noteremo finalmente il paesaggio attorno a noi e la vita assumerà un nuovo significato più bello e profondo.
Quindi se proprio vogliamo trovare qualcuno con cui gareggiare, facciamolo con noi stessi. Sproniamoci giorno per giorno a essere migliori ma non degli altri, ma di noi stessi del giorno prima. Vincere le nostre paure e le nostre resistenze per migliorare la nostra vita ne vale davvero la pena, vincere solo per sbatterlo in faccia agli altri invece ingrandisce solo il nostro ego. Il nostro ego però si dimenticherà molto velocemente di questo e ci spingerà a rimetterci in competizione nuovamente, solo per poter dire una volta in più ho vinto. E nel momento in cui perderà, allora si sentirà devastato, umiliato.
Partecipare sapendo di aver dato il massimo, questo ci fa sentire davvero vincitori. Un bambino o un adulto che saprà di aver fatto del suo meglio anche se non ha vinto, si sentirà come se quell’esperienza lo avesse arricchito. Al contrario se avrà fatto del suo meglio ma gli verrà fatto notare solamente che ha perso, lo farà sentire in colpa come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
È superando i nostri limiti, non quelli altrui, che arriveremo in cima alla montagna ed è proprio lassù che si aprirà la vista sullo scenario più bello.
Quando l’uomo smetterà di competere e inizierà a collaborare con i suoi simili e con la natura, perché di fatto compete anche con essa e tenta di piegarla al suo volere, allora scoprirà  di poter andare davvero lontano.

08/02/2020

L’unicità: il dono che portiamo al mondo

È nella nostra unicità che risiede la chiave della nostra felicità.

Sicuramente avrete già sentito della parabola del leone che si credeva una pecora. Il leone, appena nato, si ritrovò a far parte di un gregge di pecore e venne cresciuto da loro, così anche da adulto si ritrovò a credersi una pecora. Mangiava come una pecora, ragionava come una pecora, stava in gruppo come le pecore. Ma un giorno passò di lì un vecchio leone che non poteva credere ai suoi occhi. Decise allora di capire meglio cosa stesse succedendo e si accorse che il leone giovane non aveva idea di chi fosse veramente, si credeva in tutto e per tutto una pecora. Allora il vecchio leone lo portò a uno specchio d’acqua e gli disse: “Guarda il riflesso del mio volto nell’acqua e guarda il tuo.” A quel punto il giovane leone, specchiandosi, si accorse di essere un leone e un ruggito e un’energia mai provata prima scaturirono da lui.

Il leone si era guardato allo specchio e per la prima volta aveva riconosciuto se stesso.

Veniamo al mondo con dei talenti, delle predisposizioni, una personalità e qualche sogno nel cassetto e tutto ciò fa di noi delle persone uniche. Certo possiamo assomigliare ad altri, ma non saremo mai identici. Con il tempo però veniamo in contatto con altre persone, che siano genitori, parenti, amici, fidanzati, colleghi ecc., e mano a mano quello che assume sempre maggiore rilevanza per ciascuno, è il voler esser accettati.

Così in modi sottili e inconsapevoli cominciamo a reprimere la nostra unicità per conformarci agli altri, indossiamo la maschera per diventare coloro che gli altri vogliono che noi siamo, perché abbiamo paura che se mostreremo chi siamo davvero, non verremo accettati ed amati.

La società in generale condanna l’unicità dell’individuo in favore di caratteristiche comuni, ci suggerisce di non pretendere troppo da noi stessi, dell’accontentarci di essere tutti uguali anzi ci sprona in tal senso (naturalmente non uguali nei diritti ma in ciò che ci rende facilmente plasmabili e controllabili). Lo si vede fin dalla tenera età: non essere tra coloro che bevono alcol e fumano già alle superiori, se non addirittura prima oggigiorno, ti rende un escluso che viene spesso totalmente ignorato o viceversa bullizzato.

Così dunque cominciamo a perdere la nostra unicità in favore di una conformazione comunemente accettata, nascondiamo ciò che siamo, cominciamo a recitare una parte, minimizziamo le nostre capacità, i nostri talenti per paura di dimostrarci diversi, a volte anche troppo bravi, troppo potenti. Temiamo che se gli altri si sentiranno inferiori, non vorranno più starci accanto e sceglieranno chi è come loro. La diversità non è ben vista; lo dimostra anche la fiaba de Il brutto anatroccolo, dove chi è diverso viene deriso, allontanato dal gruppo, ma che infine restando se stesso sboccia diventando un bellissimo cigno. Il messaggio che ci manda Hans Christian Andersen è chiaro.

La nostra unicità è come un fuoco sacro che arde nella profondità del nostro Essere e più lo copriamo con menzogne che ci raccontiamo da soli, più tenderà a diventare fioco e forse a estinguersi. Probabilmente in realtà il fuoco sacro della nostra anima non si estingue mai, forse resta sempre un barlume di esso, una piccola fiamma che sogna di ricevere un po’ di ossigeno per riprendere a bruciare e per prendersi il posto che le spetta. Per questo penso che fino al nostro trapasso, anche se non siamo mai stati consapevoli di quante maschere abbiamo indossato e di quante menzogne ci siamo detti, quel fuoco continua a persistere e anche se tentiamo di convincerci che è ormai troppo tardi, che siamo troppo vecchi, non credo sia così. Penso anzi che ogni attimo della nostra vita meriti di venir vissuto, fino all’ultimo, perché fino all’ultimo respiro noi abbiamo la facoltà di scegliere cosa fare e abbiamo la facoltà di fare qualcosa o addirittura il dovere verso noi stessi di farlo; altrimenti la nostra vita si sarebbe conclusa prima.

La nostra unicità è ciò che siamo, che ci contraddistingue dagli altri ed è esattamente ciò che siamo venuti a donare al mondo. Il mondo non ha bisogno di miliardi di persone tutte uguali, ha bisogno di varietà. Non esistono forse miliardi di specie animali sulla terra? E miliardi di specie di vegetali, minerali? Ognuno di essi dona la propria unicità, una particolarità e non si conforma per diventare uguale agli altri. No, vive per essere ciò che è, per portare se stesso al mondo. Perché dunque noi, esseri tanto evoluti (anche se a volte ho qualche dubbio in merito) facciamo di tutto per perdere la nostra unicità e conformarci agli altri? Perché non ci guardiamo allo specchio e riconosciamo a noi stessi chi siamo davvero, quali sono i nostri pregi e i nostri difetti, i nostri talenti e quali sono davvero i nostri sogni e non li perseguiamo per raggiungere la vita che desideriamo?

Allora smettiamola di voler assomigliare agli altri, troviamo il nostro stile, le nostre parole, il nostro carattere, esprimiamo il nostro talento, la nostra voce, viviamo seguendo la nostra natura. E chi se ne importa se gli altri ci giudicheranno! Non lo fanno forse lo stesso? Non lo facciamo forse comunque? Giudichiamo sempre e comunque tutti, sia chi è diverso, sia chi ci assomiglia, quindi non è meglio venir giudicati e criticati ma seguendo la nostra verità, piuttosto che quella di qualcun altro? Ha successo chi ha il coraggio di essere se stesso, dobbiamo differenziarci gli uni dagli altri. Se i cantanti ad esempio cantassero tutti con la stessa voce e nello stesso identico modo, che bisogno ci sarebbe di averne tanti? Ne basterebbe uno. Per questo dobbiamo essere unici, perché se lo saremo troveremo il nostro posto nel mondo, saremo un leone in mezzo alle pecore; altrimenti saremo solo un’altra pecora tra tante. Ma in fondo nessuno di noi vuole essere una pecora tra tante. Dentro di noi qualcosa ci chiama e ci spinge a portare a galla qualcosa che ci rappresenti davvero. Allora permettiamoci di farlo, facciamoci questo dono. Amiamoci a tal punto da permetterci di essere chi siamo veramente. È un atto di enorme amore verso noi stessi e noi lo meritiamo davvero.

La nostra bellezza nasce dalla nostra unicità, dalla nostra diversità, non da quello in cui assomigliamo agli altri. Se ognuno di noi è unico e lo dimostra, allora il mondo si colora di infinite sfumature; in caso contrario il grigio copre tutto. Ma noi vogliamo essere grigi o dipingerci con l’arcobaleno?


30/01/2020

Essere artefici del proprio destino

Nell’articolo sulla consapevolezza (vedi articolo) abbiamo detto che essere inconsapevoli equivale a ritrovarsi a vivere in balia degli eventi, mentre essere consapevoli significa risvegliarsi e ritrovarsi in mano gli strumenti del cambiamento. Potremmo dire che è come avere in mano i pennelli e la tavolozza dei colori e poter trasformare la tela bianca in un quadro colorato e bello. Il punto chiave è il fatto di avere quegli strumenti in mano e questo significa che la consapevolezza ci fa riscoprire la nostra responsabilità nella vita. I pennelli non si intingeranno da soli nei colori e non dipingeranno immagini sulla tela, è nostra responsabilità muoverli per creare qualcosa.

Sapere di avere la responsabilità di chi siamo e di ciò che facciamo, sapere di essere responsabili di noi stessi e del nostro destino, è qualcosa che dovrebbe farci sentire potenti, perché vuol dire che non siamo in balia delle situazioni, ma abbiamo il potere di cambiare ciò che non ci piace. Il potere ci fa sentire parte attiva, l’artefice del nostro destino. Eppure è proprio questo che spesso ci spaventa, perché avere questa responsabilità ci obbliga a trasformare la nostra vita, quando invece spesso preferiamo solo crogiolarci nel vittimismo e passare le serate in amicizia a lamentarci del nostro lavoro e della nostra vita in generale. Questo lo facciamo soprattutto perché vogliamo sentirci capiti. Vogliamo qualcuno che ci compatisca e che ci dia le attenzioni che desideriamo. E così per quel poco tempo ci sentiamo capiti e coccolati e se il nostro interlocutore si sfoga a sua volta, ci sentiamo meno soli, perché condividiamo gli stessi problemi. Ma una volta tornati a casa, torniamo alla vita di sempre. Una vita che non ci soddisfa e che speriamo migliori.

Uscire da questa comfort zone non è facile: si chiama zona di comfort per un motivo, perché lì da un certo punto di vista ci sentiamo bene, o meglio è quello che ci raccontiamo, perché in realtà siamo infelici. Il punto è che se vogliamo essere felici, dovremo necessariamente uscire da lì, prendere tutto il nostro coraggio e buttarci in una nuova avventura. Perché essere artefici della propria vita significa proprio questo: avere il coraggio di vivere una vita diversa, diversa da quella fatta finora, diversa da quella di tutti gli altri, perché ognuno di noi è diverso. Dobbiamo quindi trovare la nostra unicità e portarla avanti perché la nostra unicità è il dono che ci permetterà di trasformare la vita in quella che abbiamo sempre desiderato.

Vogliamo vivere o vogliamo sopravvivere? Sopravvivere significa semplicemente accettare tristemente il luogo, le condizioni in cui siamo nati, accontentarci del lavoro che abbiamo avuto la fortuna di trovare magari tra tanti tentativi, ma sempre con la certezza in fondo al cuore che quella non è la vita che sognavamo da piccoli, che quello non era il nostro sogno. Così ci diciamo vabbè ma quelli erano i sogni di un bambino, l’adulto non può permettersi di sognare, deve adeguarsi alla società, a quello che riesce a raccattare e deve cercare di sopravvivere con quel poco che gli resta tra bollette e tasse. Oppure può riconoscere la sua responsabilità delle scelte fatte, che se ne avesse fatte delle altre forse le cose sarebbero andate diversamente; ma anche che non è mai troppo tardi per cambiare e che se guarda bene, quel bambino con i suoi sogni è ancora dentro di lui, non se ne è mai andato, perché spera ancora che l’adulto che è diventato ora, ritrovi un po’ di quella capacità di sognare e di guardare la vita come se fosse un dono anziché una punizione. E se la vita fosse solo un gigantesco gioco, se il suo scopo fosse solo farci crescere e trasformarci soprattutto interiormente? Se fosse un continuo sperimentare e vedere cosa succede, come trovare sempre nuovi piccoli obiettivi da raggiungere e vedere che ce la possiamo fare? E poi naturalmente trovare il nostro scopo nella vita?

Essere responsabili delle proprie azioni dunque può spaventare ma in realtà è stupendo, perché ci mette automaticamente al timone della nostra vita. Ogni azione presuppone un risultato. Se il risultato non mi piace allora devo fare un’azione diversa. Si tratta di scegliere la propria vita giorno per giorno, è la libertà di essere se stessi e di comunicarlo al mondo. Significa dire io sono così e questa è la vita che sto creando. E non smetteremo mai né di imparare né di creare, perché nella vita non si arriva mai, altrimenti che sprone avremmo per andare avanti? Se non potessimo continuamente migliorarla, perché vivere?

Nessuno dice sia semplice né così immediato ma ciò non significa che non si possa fare. Rende solo il tutto più articolato. Se in un click ci arrivasse tutto quello che chiediamo, dove sarebbe il divertimento? Ci annoieremmo a brevissimo e il mondo crollerebbe sotto il peso di tutti i desideri egoistici. Abbiamo bisogno di sfide…di sfidare ogni giorno noi stessi per crescere, per renderci ogni giorno persone migliori e giorno dopo giorno dimostrare con il nostro impegno sia a noi stessi che all’universo che noi vogliamo davvero quel risultato. Dobbiamo armarci “solo” di buona volontà e di pazienza, perché nessuna impresa è mai stata creata in un attimo. Ci vuole una dedizione costante, una dedizione che dura tutta una vita, ma se decidiamo di prenderci quella responsabilità, le soddisfazioni possono essere molte durante il cammino. Come si dice, “Roma non è stata creata in un giorno”, ma alla fine, ricordate, è diventata un Impero.


20/01/2020

Sei tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” diceva Mahatma Gandhi.

Siamo in molti oggi a volere un cambiamento. E non a torto…guardiamo il mondo e vediamo guerre, fuoco che distrugge habitat meravigliosi e animali, persone che muoiono di fame, di malattie facilmente curabili e non, e pensiamo che bisogna cambiare il mondo, che così non va bene. La società non va bene, il clima non va bene, la fame non va bene… Questo però è sempre un pensiero volto a cambiare qualcosa che è al di fuori di noi e spesso troppo grande per noi; e proprio perché ci sembra troppo grande, pensiamo automaticamente che sia qualcun altro a doverlo fare. Qualcuno con più mezzi come la società, il governo, la nazione ecc. Che cosa possiamo mai fare noi di fronte a una cosa così grande? E così spesso ce ne laviamo un po’ le mani, sperando che se ne occupi qualcun altro.

Ricordiamoci però che Gandhi diceva “sii TU il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Perché? Chi ha creato i problemi climatici? Chi crea continuamente le guerre? L’odio? La separazione? Chi crea tutto questo? Lo crea il mondo? Lo crea Dio? No. Siamo noi a crearlo. Noi creiamo il mondo e quindi creiamo le cose belle e le cose brutte. Certo voi mi direte non sono stato io a creare la guerra e lo capisco. Nemmeno io l’ho creata direttamente. Ciò che voglio dire è che però siamo tutti in qualche modo responsabili, tutta l’umanità, perché è l’uomo che crea ciò che c’è. Siamo sinceri, nella nostra vita di tutti i giorni ci dedichiamo solo ad amare il prossimo? Ad aiutarlo? A mandare pensieri felici e gentili verso gli altri? O siamo impegnati in una continua lotta a detestare il nostro vicino che ci rompe le scatole, il nostro collega al lavoro che non sopportiamo, il nostro fidanzato o la nostra fidanzata che non si comporta mai come vorremmo. Il nostro piccolo mondo in fondo è un po’ uno specchio del mondo in senso ampio.

Siamo stati educati a separare anziché a unire. Il nostro è un pianeta “unico, unito”, la Terra nasce così com’è, eppure fin dall’antichità per l’uomo è stato fondamentale solo dividerlo in sezioni che fossero continenti, stati, regioni, città fino ad arrivare alle particelle di terreno…separare, separare, separare…e tutto questo per poter dire questo è solo mio, quello è solo tuo…io sto qui e tu stai lì a debita distanza. A che cosa hanno portato però da sempre queste divisioni?  Naturalmente hanno dato vita a odio e guerre nate per accaparrarsi la terra del nostro vicino, perché vogliamo di più e sempre di più, non ci basta mai e dobbiamo pur riempire il nostro ego in qualche modo.

D’altro canto ci dicono che è l’unione che fa la forza. Allora perché tutte queste divisioni? Perché così possiamo continuare a puntare il dito sugli altri e dare la colpa a loro, togliendoci di dosso la responsabilità. Ma noi siamo tutti collegati tra noi…pensateci…ciò che facciamo non influenza forse chi ci sta attorno in un modo o nell’altro? La risposta è sì. Pensiamo a tutte le invenzioni fatte da un solo uomo che però hanno rivoluzionato il mondo…la stampa, la lampadina, il telefono, internet ecc.

Ed è da questo pensiero che dobbiamo partire se vogliamo davvero cambiare il mondo. Dobbiamo smetterla di guardare solo al di fuori di noi, accusare gli altri e aspettare che siano loro a fare qualcosa. Dove risiede il nostro potere? Solamente in noi e in ciò che noi possiamo fare! Allora concentriamoci su questo, sulla parte più difficile e impegnativa e che spesso con tutte le nostre forze vogliamo evitare: iniziamo col cambiare noi stessi! Non diciamo più “mondo devi cambiare”, diciamo “io cambio me stesso e so che questo si rifletterà sul mondo”. C’è un bellissimo film di diversi anni fa, Un sogno per domani, tratto dal libro La formula del cuore di Catherine Ryan Hyde, che porta un messaggio stupendo. Nel film, un ragazzino intuisce un modo per cambiare in meglio il mondo e comincia a compiere delle buone azioni, chiedendo però a chi le riceve di compiere a sua volta un importante favore a tre persone differenti. Capite? È così che cambiamo il mondo…non guardando la tv e maledicendo i governi che creano guerre, povertà ecc, perché lì possiamo fare ben poco. Possiamo anche pregare tutto il giorno, è stupendo certo, ma come ha detto anche il Dalai Lama, questo non basta. La sola preghiera non cambia il mondo. È la nostra azione, l’azione di ogni singolo individuo che porta il cambiamento. Ed è per questo che è responsabilità di noi tutti fare qualcosa nel nostro piccolo affinché poi si ripercuota sul mondo. Se lanciamo un sassolino nell’acqua, questa azione crea dei cerchi concentrici che vanno via via a ingrandirsi sempre più. Immaginiamo la nostra azione come se fosse quel sassolino. Naturalmente sta a noi decidere se sarà una buona azione o qualcosa di spiacevole. Il punto è che si propagherà sia in un caso che nell’altro. La responsabilità è dunque la nostra, siamo noi a scegliere se diffondere il bene o il male.

Aggiungo che il cambiamento accade anche in modo non visibile, perché lavorando su noi stessi e cambiando noi stessi, innalziamo la nostra vibrazione e, consapevoli o meno, questa vibrazione positiva lavora anche sull’ambiente che ci circonda e ovviamente sulle persone accanto a noi. Forse non ne siete consapevoli e loro non ne sono consapevoli, ma funziona così. Le nostre vibrazioni lavorano su coloro che ci sono accanto e in questo modo i cambiamenti positivi che facciamo su di noi influenzano gli altri e cominciano a cambiarli. Se starete attenti, riuscirete pian piano a notarlo attorno a voi: forse dei rapporti prima difficili cominceranno ad appianarsi, una persona chiusa comincerà ad aprirsi, le persone accanto a voi si sentiranno ispirate dal vostro esempio e decideranno di seguire la via che porta al loro cuore, ecc. Cose meravigliose potranno accadere e migliorare la vostra vita e quella delle persone che vi sono accanto. E tutto questo, non dimenticatelo, sarà partito proprio da voi: siete stati voi il cambiamento che ora vedete nel mondo.


11/01/2020

Consapevolezza: la chiave del cambiamento

La consapevolezza è un fattore imprescindibile nel cambiamento, perché rappresenta la vera scintilla da cui la trasformazione prende il via.

Avere la consapevolezza infatti significa capire qualcosa nella profondità della nostra Essenza. Non è un capire a livello mentale, è un comprendere a livello profondo.

Capire le cose a livello mentale infatti non basta per produrre un cambiamento. Le consapevolezze a cui arriviamo molte volte altro non sono che cose che già sapevamo, ma che solo ora sentiamo come vere. Altre volte invece sono qualcosa a cui non avevamo mai pensato, qualcosa che ci sorprende. In quei momenti è come se qualcuno toccasse delle corde al nostro interno che improvvisamente cominciano a vibrare, e sono proprio quelle vibrazioni che mettono in moto la trasformazione. Senza queste vibrazioni interiori nulla cambia e noi restiamo in una situazione di stallo. Oppure torniamo a ripetere più e più volte lo stesso errore, la stessa situazione. Ma una volta compreso il messaggio nel profondo, ecco che la magia ha inizio; una bacchetta magica che toccandoci trasforma.

La sensazione che proviamo può essere diversa per ciascuno: una luce che si accende dentro oppure un pugno nello stomaco o ancora una sensazione bellissima come un’esplosione di energia che si espande dentro. E in effetti lo è: è energia bloccata che ora si sprigiona e quando l’energia si muove, i cambiamenti sono inevitabili.

Una volta provata questa sensazione e capito di cosa si tratta, l’obiettivo deve essere diventare sempre più consapevoli. Ma come? Iniziando con l’intenzione: decidere che d’ora in poi si sarà più presenti in questi momenti.

Ma perché è così importante diventare consapevoli? Perché il nostro problema è che quando siamo inconsapevoli, veniamo automaticamente trascinati dalle cose, dalla vita e non sappiamo come uscirne. Non capiamo perché stiamo vivendo quello che ci capita. Viviamo come viene viene, assorbiti dalle cose piacevoli e da quelle spiacevoli del mondo. I nostri pensieri, le nostre emozioni e comportamenti sono controllati da credenze inconsce e programmi mentali. Perché una volta va bene e un’altra va male? Perché mi sento bene in un determinato luogo e in un altro no? Perché con quella persona ho questo feeling e quell’altra mi dà ai nervi? Perché continuo a rivivere la stessa situazione anche se con persone diverse? Perché è la domanda chiave se vogliamo diventare consapevoli.

Essere consapevoli significa dunque anche essere presenti. La consapevolezza risveglia, rischiara un mondo dentro di noi altrimenti addormentato. Naturalmente questo non significa che non ci saranno problemi. Significa però comprendere ciò che ci sta succedendo e in che modo lo stiamo creando e nel caso degli errori ci fa capire come non farli più. Ma è utile anche in caso contrario: capire come mai una cosa ha funzionato, perché così potremo ripeterla, anziché aspettare un nuovo colpo di fortuna come spesso facciamo. Avremo dunque uno strumento in mano per poter cambiare ciò che non va.

Essere consapevoli ci permette quindi di poter creare la propria vita e non subirla più. Ci aiuta a comprendere meglio noi stessi, ci aiuta a cambiare, a risanare vecchie ferite, a comprenderci, a crescere per essere giorno dopo giorno una versione migliore di noi stessi sempre più in accordo con ciò che siamo davvero: la nostra Essenza. Ma la sola consapevolezza naturalmente non basta. Quello è un primo passo essenziale, ma poi sta a noi continuare su questa strada e apportare i cambiamenti necessari alla trasformazione. Non possiamo pensare di starcene seduti lì comodamente a non fare niente e aspettare che le cose si risolvano da sé. Dobbiamo entrare in noi stessi, avere il coraggio di guardare senza filtri ciò che troviamo e accettarci con amore. Dopodiché il lavoro di trasformazione deve avere inizio.


02/01/2020

E ora realizzate i vostri sogni…

Come sempre l’anno nuovo ci permette di dare una bella spazzata a tutto quello che non siamo riusciti a compiere finora e a ricominciare d’accapo. Ogni tanto un nuovo inizio ci vuole. A volte per lasciarsi dietro le cose brutte, altre volte per ritrovare la speranza di un futuro migliore. Abbiamo bisogno di sentire quell’energia che ci fa sentire vivi, che ci riempie e ci stimola perché il nuovo inizio porta con sé tutte le sensazioni belle di chi si sente forte e pronto per cambiare la propria vita. Abbiamo bisogno dell’energia di un sogno.

Avere un sogno nella vita è fondamentale: è quello che ci dà la speranza di migliorare le nostre condizioni di vita, di essere più felici, di vedere la luce in fondo al tunnel. Tutti noi ne abbiamo almeno uno, il problema è che spesso, troppo spesso, con l’andare del tempo ce ne dimentichiamo per conformarci alle regole di una società a cui il nostro bene non interessa. Ciascuno di noi nasce con sogni e talenti, ma con l’andare del tempo se ne dimentica e si lascia plasmare da ciò che si trova attorno a lui, dimenticando chi è davvero e cosa potrebbe fare di buono per gli altri. Così facendo però egli spegne sempre più quella stupenda fiamma che lo contraddistingue dagli altri e che si trova dentro di lui.

Ma non è così per tutti. Alcuni nascono già molto determinati e riescono ad esaudire il loro sogno, facendo consapevolmente o meno i passi necessari. Queste persone ci sono d’esempio, ci dimostrano che cambiare la propria vita si può, anzi si deve, perché solo creandone una a nostra immagine e somiglianza, che rispecchi la nostra Essenza, ci può dare la felicità che cerchiamo. Dovremmo dunque ringraziare queste persone preziose perché ci mostrano come può essere la nostra vita. Ma la maggior parte delle volte non solo non siamo grati di ciò che ci mostrano, ma siamo invidiosi e abbiamo sentimenti ostili verso di esse. Invece di ispirarci, noi le vediamo come persone privilegiate, che hanno avuto fortuna, una fortuna che noi non abbiamo avuto. Così ce la prendiamo con tutti, con il fato, con l’universo, per non averci dato ciò che ha dato a loro. L’invidia nasce anche dal fatto che siamo convinti che non ci sia abbastanza spazio per tutti, che chi ottiene molto dalla vita in realtà lo toglie a noi, come se l’abbondanza non fosse accessibile a tutti. Ma nessuno può togliervi ciò che è destinato a voi, nessuno può perché nessuno è come voi. Né voi siete come gli altri. La vostra unicità crea un percorso e un destino specifico solo per voi e questo nessuno ve lo può togliere.

Quindi non prendiamocela con chi ce l’ha fatta. Quelle persone sono come fari nella notte che ci mostrano la nostra grandezza, la grandezza della nostra Anima e delle nostre potenzialità che troppo spesso sono inespresse. Se le tirassimo fuori però e ci dedicassimo ad esse, i miracoli potrebbero accadere.

Quando prendiamo d’esempio una di queste persone, che siano cantanti, attori o imprenditori, noi vediamo e ci focalizziamo solo sulla parte finale del loro processo, ovvero vediamo la persona ricca e di successo che è adesso. Così facendo ci convinciamo attraverso la nostra mente e le opinioni limitanti delle persone accanto a noi, che le persone ricche sono sempre altre, non noi, quelli fortunati negli affari sono altri, quelli di successo sono altri, non noi… Per loro è normale essere di successo, ma questo riguarda loro, hanno avuto fortuna, avranno sicuramente ricevuto aiuti da persone già ricche…ma a noi non può succedere nulla di tutto questo. Noi siamo persone normali che devono accontentarsi di fare un lavoro normale, spesso sottopagato e che nemmeno ci piace, con colleghi che non sopportiamo ecc. Ma è davvero così? Non fermatevi a ciò che è adesso, andate a vedere gli esordi di quelle persone e vedrete che anche se ora sono le persone più ricche al mondo, una volta, agli inizi, loro erano esattamente come voi. La differenza è che esattamente come voi avevano un sogno, ma hanno fatto di tutto per realizzarlo… hanno ascoltato loro stessi, quella vocina dentro così saggia da sapere cosa è meglio per loro. Sapevano chi sono e cosa vogliono dare al mondo e giorno dopo giorno con grandi sacrifici lo hanno realizzato. Loro erano disposti ad ascoltare se stessi, le loro inclinazioni, i loro sogni, la loro intuizione, il loro cuore. Si sono messi lì giorno dopo giorno per modellare quel futuro che già vedevano dentro di essi. Quindi lasciatevi ispirare da queste persone perché vi mostrano chi potete essere.

Focus, determinazione, dedizione, volontà, azione. La maggior parte delle persone però non lo fa. Ha un sogno che spera un giorno di realizzare, ma se non fai niente per realizzalo, niente realizzerai. E nel frattempo la vita passa e il sogno resta lì nel cassetto del cuore e ogni tanto torna a galla sperando di venir realizzato. E così resta quella speranza che un giorno qualcosa cambi ma la speranza da sola non basta. Bisogna agire! Il mondo non ha bisogno di persone tristi, il mondo ha bisogno di persone che si risveglino e che vivano il loro sogno. Allora fatelo anche voi e cominciate oggi. Prendete la decisone di trasformare la vostra vita nel sogno che vedete nel vostro cuore. Fate oggi qualcosa per arrivare più vicino ad esso. Fate un passo verso il vostro sogno, perché così farete un passo verso voi stessi, verso la vostra Essenza che non aspetta altro che voi la riscopriate.

Amatevi così tanto da darvi ciò che desiderate davvero. Sognate e realizzate i vostri sogni…sempre…c’è posto per tutti.